lunedì 20 aprile 2009

Analisi del film "Nostra Signora dei Turchi" di Carmelo Bene. Il rifiuto della trama.


Lo scontro con il cinema di Carmelo Bene (terza parte).


Il rifiuto della trama.


Un altro importantissimo elemento che caratterizza l’entità dello scontro di cui si è parlato all’inizio della trattazione è il rifiuto della trama.

Nostra Signora dei Turchi non segue un comune schema narrativo. Non possiede una trama attraverso cui si racconta qualcosa. Tutto il film sembra una concatenazione di scene indipendenti tra loro, un amalgama senza principio di causalità, senza che si possa rintracciare un percorso temporale ben determinato.

Infatti Carmelo Bene non utilizza alcuna sceneggiatura sebbene il film abbia due antecedenti: l’omonimo  “perverso romanzo della idiolessi” e la variante teatrale del 1966.

I motivi di questo rifiuto sono ben delineati dallo stesso Carmelo Bene in varie interviste e interventi. Alla base c’è la differenza tra teatro/cinema e spettacolo.

Il teatro e il cinema sono espressione, lo spettacolo è comunicazione.

La costruzione di trame coinvolgenti, precise architetture con i pesi e i contrappesi giusti, servono solo a intrattenere gli anziani (come spiega Carmelo Bene nella conferenza stampa per la Biennale di Venezia del 1989), per mezzo di una sorta di cinema /teatro assistenziale, è cioè spettacolo.

Il rifiuto di un testo predeterminato rientra nella distinzione, che sta alla base della poetica di Carmelo Bene, tra “dire” e “detto”. Il rifiuto dell’attore che ripete a memoria un testo scritto da un altro autore (il già detto appunto), è nettamente rifiutato. Carmelo Bene si definisce un attore del “dire”, che produce “scrittura di scena”, ossia un attore che non mette in scena la rappresentazione di un’azione, ma l’azione stessa. Un attore che vive sulla scena come nella vita reale.

 

Un altro aspetto della questione è più complesso e forse più determinate.

La trama è fatta di un inizio e una fine ben determinati. L’attenzione dello spettatore è condotta verso la risoluzione della vicenda narrata o rappresentata, è condotta irreversibilmente verso la fine.

Per Carmelo Bene l’inizio e la fine non hanno alcuna importanza. Ciò che conta sta nel mezzo, considerato come apice ed eccesso. Questo aspetto è affrontato da Gilles Deleuze nel suo saggio Un manifesto di meno, a proposito del concetto di maggiore e minore. Vedremo che verrà chiamato direttamente in causa il tema su cui è basato Nostra Signora dei Turchi: i tentativi di un uomo di diventare un cretino.

Inizio e la fine circoscrivono una tempo storico, determinato. La velocità, il movimento, il divenire stanno nel mezzo. Le rivoluzioni si pongono sempre in un punto preciso tra il passato e l’avvenire.  Gli autori maggiori appartengono al proprio tempo, ne sono interpreti e l’abbandonano solo per divenire eterni. L’autore minore è invece antistorico perché si pone appunto nel mezzo, in un tempo indeterminato capace di dialogare con tutti gli altri tempi.

Maggiori sono la dottrina, la cultura, la storia.

Di qui prende le mossa l’operazione della “minorazione” vista come il modo per “sprigionare dei divenire contro la Storia, delle vite contro la cultura, dei pensieri contro la dottrina, delle grazie o delle disgrazie contro il dogma”.

Risulta quindi un sublime gesto rivoluzionario quello di voler diventare un cretino invece di un santo.

Questo è Nostra Signora dei Turchi: un insieme di riti della minorazione.

In questo senso si comprende la lezione di San Giuseppe da Copertino, l’asino che volava.

Questo personaggio è stato fonte di molte riflessioni per Carmelo Bene e viene direttamente citato in Nostra Signora dei Turchi nel famoso monologo dei cretini:

 

[…]San Giuseppe da Copertino, guardiano di porci, si faceva le ali frequentando la propria maldestrezza e le notti, in preghiera, si guadagnava gli altari della Vergine, a bocca aperta, volando. 

 

Le estasi di questo frate “illetterato et ignorante” (nato il 17 giugno 1603 a Copertino, fra Brindisi e Otranto, in provincia di Lecce), consistevano nelle sue levitazioni, nei suoi voli durante i quali gli altri frati che tentavano di tenerlo giù, prendevano il volo anche loro per poi ricadere a terra.

Risulta spontaneo il parallelo con i voli dalla finestra dell’aspirante cretino di Nostra Signora dei Turchi. “Non era la prima volta che si buttava dalla finestra”, una battuta a cui si ride, ma che ci informa dei vani tentativi di spiccare voli estatici come faceva San Giuseppe da Copertino.

Tali tentativi di minorarsi, di raggiungere l’inettitudine devono essere considerati un atto di rivolta contro la Storia, un modo per dialogare con i minori di tutte le epoche.

I tentativi consistono in una serie di riti.


Rileggi la seconda parte (la pellicola dipinta).


Quarta parte (rito e dissacrazione).


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