lunedì 4 maggio 2009

Analisi del film "Nostra Signora dei Turchi" di Carmelo Bene.

In un precedente articolo avevo espresso alcune considerazioni sul film di Carmelo Bene Nostra Signora dei Turchi. Alla base di quell'articolo c'era un saggio che avevo scritto e che ora ho deciso di pubblicare nonostante la sua lunghezza. Credo che per gli amanti di Carmelo Bene e per coloro che hanno visto il film sia un utile strumento per comprendere un'opera abbastanza complessa e di difficile interpretazione. Il titolo del saggio è Lo scontro con il cinema di Carmelo Bene ed è diviso in quattro parti che farò coincidere con quattro post: introduzione, la pellicola dipinta, il rifiuto della trama, rito e dissacrazione.


Lo scontro con il cinema di Carmelo Bene. Prima parte.

Introduzione.


Ma si è sempre al primo film.

Si è sempre al primo verso

si è sempre alla prima battuta.

Si è sempre “prima”,

come mi piace ricordare.

Carmelo Bene

 

 

 

Enrico Ghezzi è stato un grande estimatore dell’opera di Carmelo Bene e in una sua “videocosa” ne parla in questi termini:

 

Il cinema [di Carmelo Bene] fin dall’inizio è sperimentato per quello che non è; neanche come cinema d’avanguardia (come il teatro). Il cinema di Carmelo Bene non si sogna d’avanguardia, non si sogna di volerlo essere, non si sogna di essere più avanti del resto del cinema, non si sogna di essere più artistico, come non è più teatrale; è veramente un cinema invece vicinissimo a risultare l’attacco definitivo al cinema.

 

L’idea che se ne trae è quella di un cinema che non si pone oltre, lontano dal cinema, al contrario: vi si pone nella prossimità di uno scontro.

Anche Mario Masini, direttore della fotografia dei film di Carmelo Bene, parla in termini di scontro: “Oserei dire che Carmelo Bene si è scontrato con il cinema, ha lottato per poterlo dominare e per trasformarlo in un’opera pittorica”.

Lo scontro implica necessariamente una vicinanza e si può affermare che nel caso di Carmelo Bene tale vicinanza ha assunto i caratteri di una irrefrenabile e furiosa passione. Ne parlo in questi termini perché la costanza con cui Carmelo Bene ha scardinato le opere degli autori con cui si è sempre scontrato (Shakespeare e Collodi per fare due esempi), derivano da un profondo e inconfessato amore. Ciò riguarda anche il cinema. I suoi film si distribuiscono in un arco di tempo molto breve e intenso (da Nostra Signora dei Turchi del 1968 a Un Amleto di meno del 1973). Una manciata di anni in cui si è occupato solo di cinema, non di teatro.

Carmelo Bene ha fatto cinema con una incredibile foga espressiva. C’è lo testimonia ancora Mario Masini, a proposito di Nostra Signora dei Turchi:

 

Abbiamo condotto il film […] vivendolo giorno per giorno fisicamente in modo esasperato, perché non dormivamo mai, lavoravamo dal mattino alla sera e dalla sera al mattino per girare le albe, i tramonti, il Sole splendente, i notturni. Poi magari dopo tre o quattro giorni e notti del tutto insonni, crollavamo a dormire per quarantott’ore.

Tutto questo non ha mai avuto un «senso» professionale, è stato improntato solo a una grande passione. 

 

Il risultato di questo scontro è un’opera accolta da alcuni come un capolavoro, da altri come un “nulla popolato da incubi senza nesso” e “con beneficio d’inventario”, come si legge nell’articolo di Gian Luigi Rondi apparso su “Il Tempo” del 22 Marzo del 1969. Nostra Signora dei Turchi si presenta come un’opera che suscita con uguale facilità eccessi di plauso o eccessi di sdegno. Così come avviene del resto per quanto riguarda il personaggio-Carmelo Bene.

 

Non si può parlare di cinema d’avanguardia anche perché lo stesso Carmelo Bene si è sempre tirato fuori da tale categoria, evitando (anche in teatro) di incanalarsi in una qualche corrente. La sua opera è strettamente individuale, difficilmente separabile dalla sua vita pubblica, tanto che ha sempre sostenuto che l’artista non deve comporre opere d’arte, deve esserlo. Di qui la sua tendenza ad ridurre tulle le parti del lavoro a se stesso: Carmelo Bene è autore, attore, regista, scenografo, costumista. In Nostra Signora dei Turchi il gruppo di lavoro è ridotto al minimo indispensabile. Racconta Masini:

 

eravamo lui, io e Zazà Siniscalchi come aiuto di Carmelo. Io portai un assistente il quale dopo una quindicina di giorni ebbe un piccolo esaurimento e se ne andò. Così rimanemmo solo io e Carmelo, con due o tre donne che facevano le attrici e contemporaneamente ci aiutavano, ci seguivano in quella che era la parte amministrativa e tutto il resto, compresa  mia moglie. Il film costò pochissimo, praticamente il costo della pellicola. 

 

Anche i tempi di produzione sono notevolmente ridotti. Il film è stato girato in quaranta giorni, “perché eravamo lontani da Roma e bisognava aspettare per girare, c’erano problemi di materiale e di pellicola” (Carmelo Bene). Poi due settimane di montaggio a cura di Mauro Contini e ventiquattr’ore di doppiaggio e sonorizzazione.

Il risultato secondo le parole di Carmelo Bene è “un melodramma, ma non per il canto degli orecchi, per il canto degli occhi”. 

A questo punto risulta chiaro la direzione che prende il suo cinema: l’uso dell’immagine come una nota musicale e il montaggio come costruzione ritmica di fraseggi sonori per gli occhi.

Un cinema che si avvicina alla musica nella sua indeterminatezza, nel suo trasmettere suggestioni attraverso stimolazioni sensoriali. Secondo Cosetta G. Saba

 

Non si può che stare in "ascolto": il tentativo stesso di "pensare" il cinema di Carmelo Bene mette in una condizione di anomia, di cortocircuito del linguaggio, di bianco, di silenzio. Questa "leggibilità" sbiancata corrisponde al cortocircuito audiovisivo dell’opus di Bene in cui l’ascolto-visto diviene immagine udita ed equivale al massimo del blow up ottico-acustico; è come chiudere gli occhi del tutto sulla visibilità dell’immagine. L’immagine si fa ascolto.

 

È necessario a questo punto analizzare alcuni aspetti essenziali per tracciare le linee di base del lavoro di Carmelo Bene.

Seconda parte. 

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