domenica 8 marzo 2009

Ninetto Davoli e Carlo Citti guardano il cielo per la prima volta. Dal film "Il Minestrone" di Sergio Citti.

Riguardando alcune scene del bellissimo film di Sergio Citti Il minestrone  sono rimasto impressionato da una sequenza in particolare, in cui ho visto una meravigliosa metafora della nostra contemporaneità. Il film, del  1981, è tutto basato sulla fame atavica dei protagonisti (interpretati da Carlo Citti, Ninetto Davoli e Roberto Benigni) e delle loro avventure alla ricerca di cibo. Il film è abbastanza lungo, 160 minuti, tanto che per trasmetterlo in tv fu necessario dividerlo in tre episodi.

La scena in questione è la seguente: Citti e Davoli, dopo aver cercato incessantemente del cibo nei cassonetti dell’immondizia, dopo essersi litigati delle salsicce con un cane e dopo aver spinto una camionetta piena di ogni ben di Dio che non potevano sfiorare nemmeno con un dito, si ritrovano al centro di una strada nelle periferie romane, circondati da enormi mostri di cemento. Guardano in alto e restano meravigliati alla vista del cielo. Ninetto Davoli esclama: “Ammazza quanto cielo c’è!”. Iniziano a sopraggiungere delle macchine, la gente scende dalle vetture e inizia come contagiati dai due poveri diavoli a guardare il cielo, come per la prima volta. Le auto si accalcano creando un ingorgo e la folla si fa man mano più fitta e tutti col naso all’insù. Poi arrivano i gendarmi, arrivano con le armi e disperdono la folla e arrestano Citti e Davoli, accusati di intralcio al traffico.

Guardare il cielo come se fosse la prima volta. E’ ancora possibile nel nostro mondo dominato dalla fretta e dalla simultaneità. E’ ancora possibile meravigliarsi delle cose che ci sono più comuni ma alle quali ci siamo inevitabilmente abituati?

Questa è la parola chiave: abitudine. Ci siamo talmente abituati al fatto di avere un cielo in testa che ci siamo dimenticati della sua esistenza. Da adulti che siamo, abbiamo perduto lo sguardo dei bambini che facendo esperienza del mondo si meravigliano di tutto.

Non meravigliarsi di nulla. Siamo condannati a questa condizione? E’ possibile per noi adulti meravigliarsi ancora di qualcosa? Bisogna prima di tutto fermarsi un attimo.

Lo sguardo di colui che si meraviglia guardando il cielo è ciò che accomuna secondo me l’artista allo scienziato. Sia l’uno che l’altro non possono abituarsi alle cose.

Se Galileo avesse alzato lo sguardo al cielo senza meravigliarsi , probabilmente non avrebbe scoperto nulla.


Guarda la scena trattata.

Leggi l'articolo: "Il minestrone"di Sergio Citti.

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